lunedì 28 luglio 2014

Che Cos’è Il Dolore

Secondo l'International Association for the Study of Pain (Associazione Internazionale per lo Studio sul Dolore) il dolore è “una sensazione sgradevole e un'esperienza emozionale che si accompagna a lesioni tissutali reali o potenziali e descritta in termini di tale danno”.
Il termine sofferenza è spesso utilizzato in associazione al dolore, e implica la sopportazione conscia del dolore e dello stress. La sofferenza può riferirsi a una varietà di stati soggettivi intensi e spiacevoli che possono avere origine fisica o psicologica.
Con nocicezione si intende la percezione, la trasduzione e la trasmissione di uno stimolo nocivo. Quando i nocicettori ( terminazioni nervose libere) vengono stimolati da insulti tissutali termici, meccanici e chimici, inviano impulsi al sistema nervoso centrale, che ne effettua l'interpretazione e la modulazione. 
DN1_2NocicettSostanze
Il dolore è una risposta sensitiva ed emotiva ad uno stimolo nocivo, e può variare da soggetto a soggetto. Un singolo animale può o meno provare dolore in risposta ad uno stimolo dolorifico.
La risposta individuale al dolore varia in base a molti fattori, tra cui età, gli animali giovani mostrano generalmente una minore tolleranza al dolore acuto ma sono meno sensibili allo stress emotivo e all'ansia associati all'anticipazione di una esperienza dolorosa, sesso, condizioni di salute. Gli animali ammalati hanno una minore capacità di tollerare il dolore rispetto ai soggetti sani, quelli gravemente debilitati provano ancora dolore ma possono non essere in grado di reagire. La risposta varia inoltre in base alla specie e alla razza.
Il dolore è un fenomeno complesso che coinvolge componenti fisiopatologiche e psicologiche spesso difficili da riconoscere e interpretare negli animali.
Nei pazienti umani il trattamento del dolore è facilitato dalla possibilità di riferire sia gli aspetti sensoriali che affettivi di tale esperienza. In ogni caso, il fatto ormai accertato che anche pazienti umani non verbalizzanti quali neonati, bambini piccoli, soggetti affetti da demenza, sono in grado di provare dolore, ha portato la IASP a precisare che “l'impossibilità di comunicare non nega in alcun modo la possibilità che un individuo stia provando dolore”. Questa affermazione può essere rivolta ad una altra categoria di pazienti non verbalizzanti: gli animali.
Per questo, anche in Medicina Veterinaria il tema del dolore deve essere affrontato come una vera e propria patologia, deve essere prontamente riconosciuto e trattato adeguatamente.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello    
Lascia un commento per dire la tua, per chiedere informazioni usa la pagina Contatti.

Potrebbero interessarti anche gli articoli Il DoloreCome Nasce il Dolore e Le Conseguenze del Dolore e Il Dolore Cronico.

mercoledì 23 luglio 2014

Il Dolore

Negli ultimi anni anche in Medicina Veterinaria è aumentato l’interesse per ciò che riguarda il dolore e la terapia del dolore. Sempre più numerose sono le pubblicazioni e gli articoli che trattano l’argomento su riviste specializzate, a dimostrazione del fatto che si sta assistendo ad un radicale cambio di mentalità, sia da parte dei medici veterinari che dei proprietari di animali.
E’ stato dimostrato da tempo che anche gli animali domestici sono in grado di provare dolore e la IASP (International Association for the Study of Pain- Associazione Internazionale sullo Studio del dolore) ha precisato che “l’impossibilità di comunicare non nega in alcun modo la possibilità che l’individuo stia provando dolore”. Questa affermazione, sebbene espressa nell’ambito della medicina umana, ben si adatta anche ai nostri amici a quattro zampe. Il dolore, una volta trascurato in quanto ritenuto “inevitabile” in numerose pratiche cliniche e chirurgiche, viene ora affrontato come una vera e propria sindrome, ovvero un evento patologico che, come tale, necessita di un trattamento adeguato. Fatta eccezione per il dolore acuto, l’unico considerato fisiologico dal momento che esercita un ruolo protettivo nei confronti dell’organismo in risposta ad uno stimolo dolorifico e che cessa nel momento in cui tale stimolo viene meno, altre tipologie di dolore non autolimitanti e non transitori sono da considerare cronici, ovvero patologici. Essi non hanno nessuna funzione biologica, non hanno un ruolo adattativo, sono debilitanti ed hanno un impatto significativo sulla qualità di vita del paziente. Infatti, la continua trasmissione degli impulsi nervosi dolorifici comporta alcune modificazioni fisiopatologiche a carico di numerosi organi e apparati (sistema nervoso centrale, apparato cardiovascolare, endocrino, metabolico) con conseguente alterazione dei processi di guarigione.
Il veterinario dovrebbe essere abile nel riconoscere i sintomi che indicano precocemente l’insorgenza di uno stato algico, in modo tale da riuscire ad intervenire su un dolore ancora lieve o moderato, prevenendone un peggioramento.
Una corretta diagnosi del dolore e della causa che ne è alla base, una attenta valutazione delle condizioni del paziente, una scelta mirata della terapia, promuovono il benessere psico-fisico dell’animale e ne permettono una più rapida guarigione.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello   
Lascia un commento per dire la tua, per chiedere informazioni usa la pagina Contatti.
Potrebbero interessarti anche gli articoli Che Cos'è Il Dolore, Come Nasce il Dolore e Le Conseguenze del Dolore e Il Dolore Cronico.

giovedì 17 luglio 2014

La Proteinuria: Monitoraggio e Terapia

In quest'ultimo capitolo dedicato alla proteinuria affrontiamo il discorso della terapia e della gestione del paziente in corso di malattia renale cronica, sospetta o conclamata.
Per facilitare un corretto approccio preventivo e/o terapeutico bisogna innanzitutto cercare di stabilire l'entità e la gravità della nefropatia cronica.
La stadiazione della malattia renale cronica si basa su parametri specifici (azotemia, proteinuria, pressione sanguigna) e sullo stato del soggetto:
  1. stadio I: soggetti non azotemici, possibile presenza di alterazioni renali (ad esempio
    image
    un'inadeguata capacità di concentrare le urine, anche per cause extra renali), anormalità rilevate alla palpazione o attraverso la diagnostica per immagini (Rx o ecografia)
  2. stadio II: lieve grado di azotemia (1.4-2mg/dl nel cane/ 1.6-2.8mg/dl nel gatto) e segni clinici blandi o assenti
  3. stadio III: medio grado di azotemia (2.1-5mg/dl CN/ 2.9-5mg/dl GT) e presenza di segni clinici sistemici
  4. stadio IV: grave azotemia (>5mg/dl) e numerosi segni clinici extra renali)
In base alla suddetta classificazione l'approccio alla malattia renale cronica è il seguente:
  • monitorare (bassi livelli di proteinuria)- è il primo step consiste nel ripetere periodicamente i test per controllare che non ci siano peggioramenti nel corso del tempo in soggetti con nefropatia subclinica stabilizzata. Rientrano in questa categoria:
    • cani e gatti non-azotemici con microalbuminuria persistente
    • cani e gatti non-azotemici con proteinuria persistente e valori  di  PU/CU > 0.5
  • investigare (livelli più alti)- eseguire ulteriori o nuovi test al fine di evidenziare una patologia sistemica sottostante (infiammazione, infezione, neoplasia) e/o determinare il grado di evoluzione di una malattia renale. In tal caso siamo di fronte a pazienti:
    • non-azotemici con microalbuminuria in aumento
    • non-azotemici con proteinuria renale persistente e PU/CU >1
  • intervenire (livelli ancora maggiori)- impone una prescrizione dietetica appropriata per proteggere il rene e/o l'uso di farmaci per migliorare lo stato del soggetto e ridurre l'evoluzione della nefropatia. Quest'ultimo step è richiesto in:
    • cani con malattia renale cronica causante azotemia e PU/CU >0.5
    • gatti con malattia renale cronica e PU/CU >0.4
    • cani e gatti non-azotemici con PU/CU >2
La terapia contro l'insufficienza renale cronica presuppone sia l'utilizzo di farmaci che una dieta controllata: a livello farmacologico l'obbiettivo è quello di “proteggere” il rene, ridurre le cause e gli effetti sistemici e metabolici dovuti alla ridotta capacità di filtrazione del rene) e preservare il più a lungo possibile le porzioni d'organo non ancora danneggiate. A tal fine si ricorre a diverse categorie di farmaci:
  • Ace-inibitori, benazepril ed enalapril (per il controllo della pressione sanguigna ai fini di migliorare la capacità filtrativa del rene)
  • antiacidi, ranitidina o omeprazolo, e antiemetici, metoclopramide o meropitant o domperidone (per contrastare gli effetti dell'acidosi a livello gastro-enterico),
  • citrato di potassio e cloruro (contro l'acidosi metabolica e l'ipocaliemia),
  • chelanti del fosforo (contro l'iperfosfatemia)
  • calcitriolo, solo nel cane (per un corretto equilibrio calcio /fosforo)
  • eritropoietina  (contro l'anemia)
Un ruolo altrettanto fondamentale è infine rappresentato dalla dieta che dev'essere costituita da un apporto di proteine controllato e di alta qualità (a tal proposito esistono numerose diete commerciali studiate per soggetti con insufficienza renale cronica) e da un integrazione di acidi grassi omega 3.


Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello     
Lascia un commento per dire la tua, per chiedere informazioni usa la pagina Contatti.



Potrebbero interessarti anche gli articoli ProteinuriaClassificazione della Proteinuria e Diagnosi di Proteinuria

venerdì 11 luglio 2014

Diagnosi di Proteinuria

Proseguiamo qui il discorso sulla proteinuria parlando della diagnosi e delle implicazioni ad essa legate.
Lo stato di proteinuria non dev'essere semplicemente “rilevato”, ma anche definito appropriatamente ai fini di attuare un intervento mirato (curativo e/o preventivo) sul paziente.
La diagnosi di proteinuria si basa su tre rilievi fondamentali: la localizzazione, la persistenza e la “portata” (quantità di proteine rilevabili nelle urine).
  • Localizzazione: rilevamento del sito e del meccanismo d'azione della proteinuria. Le “informazioni”necessarie comprendono: anamnesi remota e recente, esame obbiettivo generale e riscontri clinici, esame completo delle urine e, talvolta, coltura ed eventuali esami ematologici-biochimici.
  • Persistenza: valutazione della durata dello stato di proteinuria nel tempo, attuabile con un minimo di 3 determinazione distanziate le une dalle altre di circa 2 settimane
  • Portata (magnitudine): valutare la quantità effettiva di proteine perse mediante metodi quantitativi quali strisce reattive e rapporto proteine/creatinina urinaria
Stabilire una condizione di proteinuria renale persistente equivale ad ottenere un marker attendibile di malattia renale cronica ed è un'indubbia arma in più a disposizione del medico veterinario sia in un'ottica preventiva che prognostica.
Infatti la nefropatia cronica, sia nel cane che nel gatto, può avere presentazioni cliniche molto variabili: la gran parte dei soggetti manifesta clinicamente la patologia a causa di un'evoluzione progressiva e rapida del danno renale. D'altra parte,però, esiste anche la possibilità che alcuni soggetti non mostrino alcun segno (o solo sporadici episodi) riconducibile ad una malattia renale in atto: questi pazienti, apparentemente “sani”, tendono a manifestare sintomi di insufficienza renale solo in punto di morte, senza che si abbia la possibilità di alcun intervento efficace. image
Alla luce di quanto detto, basandosi sull'aspetto clinico della nefropatia cronica, si possono quindi differenziare 3 categorie di pazienti:
  1. soggetti con nefropatia visibilmente progressiva (segni evidenti o diagnosi tardiva)
  2. soggetti con nefropatia stabile e subclinica (periodi >6mesi senza sintomi o peggioramenti intermittenti)
  3. soggetti con una nefropatia indefinibilmente stabile e subclinica ( periodi >6mesi senza sintomi o morte improvvisa senza apparenti ed evidenti ragioni)
Negli animali con malattia renale stabile o subclinica esistono 2 possibili scenari che giustificano tale quadro:
  1. il danno renale esiste ed è progressivo, ma mascherato e non visibile clinicamente: questo risulta plausibile grazie ai meccanismi compensatori strutturali e funzionali da parte del tessuto renale non ancora danneggiato
  2. le lesioni sono rimangono di per sé “stabili” per lungo tempo, senza progressione, e quindi lo stato clinico risulta “silente”, fino a quando non si ha una recrudescenza dei vecchi processi o il sommarsi di nuovi che causano ulteriori danni al parenchima renale
Al di là dei due differenti “scenari” sopra descritti, è proprio in questi casi che diviene di importanza capitale riuscire a diagnosticare precocemente una nefropatia cronica : non c'è infatti modo di prevedere “quando” la patologia darà sintomi clinicamente rilevabili e soprattutto quando un equilibrio così precario verrà “rotto”, portando ad un inevitabile e veloce aggravamento della malattia e delle condizioni del paziente. La chiave di volta, in tali frangenti, è il “monitoraggio” periodico dell'animale in modo da poter rilevare “sul nascere” eventuali peggioramenti ed intervenire il più precocemente possibile. Alla luce di quanto detto, quando e come è più opportuno testare la presenza o meno di proteinuria? L'esame delle urine, comprensivo della proteinuria, dovrebbe rientrare nel comune iter diagnostico, insieme ad esami ematologici e biochimici, in pazienti (cani e gatti) portati alla visita con qualsivoglia sintomo di malattia grave in atto. In aggiunta a ciò, soggetti con comprovata malattia cronica a rischio di complicazioni renali, dovrebbero essere testati ad intervalli massimi di 6 mesi.
Alle due suddette categorie si possono aggiungere pazienti “sani”, portati dal veterinario per check up periodici preventivi: nell'ambito degli esami di base bisognerebbe far comunque rientrare un controllo della presenza o meno di proteinuria.
Per quanto riguarda il tipo di test da utilizzare, le linee guida danno le seguenti indicazioni:
  1. reazioni fortemente positive ( ≥ 1+ alla striscia reattiva; confermati dal test SSA) danno un'indicazione a procedere immediatamente col il calcolo del rapporto PU/CU o attendere al massimo 2-4 settimane per poi ripetere il test al fine di valutare la persistenza della proteinuria
  2. proteine in tracce alla striscia indicano l'opportunità di dover ripetere il test al massimo dopo 2-4 sett. e procedere col calcolo del rapporto se la situazione persistesse
  3. reazioni negative alla proteinuria (dipstick e/o test SSA) sono sufficienti ad escludere la presenza di qualsiasi forma di proteinuria, ad eccezione della microalbuminuria.
­Negli animali con proteinuria sospetta o comprovata, la determinazione del rapporto PU/CU è raccomandata al fine di indirizzare le scelte terapeutiche e monitorare la risposta da parte del soggetto.
L'utilizzo di test specifici per evidenziare un'eventuale microalbuminuria è consigliata quando:
  • i test convenzionali risultano negativi per la proteinuria in animali con segni di grave malattia, soprattutto in quelle patologie che potrebbero essere complicate da nefropatie proteinuriche
  • in soggetti in cui i test convenzionali siano risultati negativi, apparentemente sani, ma di età superiore ai 6 anni nel cane e 8 anni nel gatto
  • quando i risultati dei test convenzionali sono equivoci
  • in cani e gatti predisposti, ad esempio per razza, a patologie renali
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello    
Lascia un commento per dire la tua, per chiedere informazioni usa la pagina Contatti.


Potrebbero interessarti anche i seguenti articoli: ProteinuriaClassificazione della Proteinuria e La Proteinuria: Monitoraggio e Terapia

giovedì 3 luglio 2014

Classificazione della Proteinuria

In Italia un cane su due è affetto da proteinuria e questa causa danni renali irreversibili, ma qual è il significato reale di tale dato e che cos'è in effetti la proteinuria?.
Il termine proteinuria viene utilizzato per indicare la presenza di una quantità “anomala” (in eccesso) di proteine nelle urine; generalmente in soggetti sani queste possono essere rilevate, ma in bassissima concentrazione.
Studi relativamente recenti hanno dimostrato che nei cani e gatti, parimenti all'uomo, uno stato di proteinuria persistente è frequentemente associato a malattia renale cronica e progressiva e ad un aumento della mortalità, sia per patologie renali che per differenti cause. Sebbene sia chiaro come la proteinuria compartecipi all'aggravamento di nefropatie croniche, non sono ancora stati chiariti quesiti fondamentali quali: che grado di proteinuria è effettivamente dannoso?, che tipo?, per quanto tempo deve persistere per risultare dannosa?.
Esiste un “Consensus Statement” ovvero delle linee guida di provenienza americana (ACVIM) che descrivono l'approccio più “appropriato e accreditato” verso la proteinuria: un punto fermo su cui gli studiosi oggi concordano è che, più che una patologia di per sé, la proteinuria rapprsenta un vero e proprio“marker” (“indicatore”) sia del rischio di andare incontro ad una nefropatia, che della capacità di risposta da parte dei reni nei confronti di un eventuale terapia preventiva- protettiva e/o “curativa”.
Esiste un gran numero di cause scatenanti proteinuria, classificate in base al sito o al meccanismo d'azione:
Prerenale (dovuta ad un'anormale concentrazione di proteine plasmatiche che attraversa le pareti di capillari glomerulari che mantengono una normale permeabilità selettiva)
Proteine normali che non sono però normalmente presenti libere nel plasma: es Hb o mioglobina
Proteine anomale: es immunoglobuline a catena leggera (Bence-Jones proteins).
Renale (dovuta ad un anormale rimaneggiamento da parte del rene di proteine plasmatiche)­
-Funzionale (proteinuria dovuta ad un'alterata fisiologia del rene durante o in risposta a certe situazioni anomale transitorie: es. eccessivo esercizio,febbre, convulsioni ecc). La chiave distintiva in questo caso è che la proteinuria non è attribuibile a lesioni renali. Risulta infatti moderata e transitoria e si risolve prontamente quando le cause che l'hanno determinata cessano di essere.
-Patologica: (definizione: proteinuria dovuta ad anomalie strutturali e funzionali dei reni, al di là della durata e della gravità).
.Glomerulare: (dovuta a lesioni che alterano la capacità di permeabilità selettiva delle pareti dei capillari glomerulari)
.Tubulare: (dovuta a lesioni che alterano il riassorbimento tubulare delle proteine plasmatiche che normalmente passano attraverso le pareti dei capillari glomerulari, i quali mantengono la loro normale permeabilità selettiva
Queste proteine plasmatiche transitano nelle urine attraverso i capillari glomerulari. Consistono principalmente in proteine a basso peso molecolare, ma possono anche includere piccole quantità di proteine a peso molecolare moderato (es: albumine)
.Interstiziale (dovuta a lesioni infiammatorie o ai processi di una malattia (es: nefrite interstiziale acuta) che causano un'essudazione di proteine nello spazio urinario.
Queste proteine passano nell'urina attraverso i capillari peritubulari..
Postrenale (dovuta al passaggio di proteine nelle urine dopo aver passato la pelvi renale).
-Urinaria (dovuta all'ingresso di proteine derivanti da processi emorragici o essudativi che alterano le pareti delle varie stazioni dell'apparato escretore urinario);pelvi renale, uretere, bacinetto renale e uretra (nei maschi anche passaggio nell'uretra dalla prostata).
-Extraurinaria (dovuta all'ingresso di proteine derivanti da secrezioni o processi emorragici e/o essudativi che colpiscono il tratto genitale e/o i genitali esterni durante la minzione o nel processo di raccolta delle urine per l'analisi.
Delle suddette tipologie, in realtà, è la “proteinuria renale persistente” quella rappresentativa di di una nefropatia renale cronica. Per questa ragione diviene importante sapere come poterlarla diagnosticare e le conseguenze cliniche in un soggetto affetto da tale patologia: per saperne di più non perdete, quindi, il prossimo articolo sulla diagnosi e implicazioni della proteinuria nel cane e nel gatto.

Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello    
Lascia un commento per dire la tua, per chiedere informazioni usa la pagina Contatti.


Potrebbero interessarti anche i seguenti articoli: ProteinuriaDiagnosi di Proteinuria e La Proteinuria Monitoraggio e Terapia