venerdì 24 ottobre 2014

Virus della Leucemia Felina FeLV: Aspetti Clinici

In questo capitolo dedicato al FeLV affronteremo più nello specifico alcuni aspetti clinici della leucemia felina. Le patologie associate a FeLV compaiono solo nei soggetti con viremia persistente, solitamente nell’arco dei tre anni successivi all’infezione, sono legate allo stato di immunosoppressione virus indotta, molto variabili e mortali nel 70%.
La depressione midollare è la più frequente sindrome clinica derivata dalla presenza del virus della leucemia felina. FeLV colpisce primariamente le progenitrici delle cellule del sangue e le cellule stromali che rappresentano il loro supporto nutritivo. Nella maggior parte dei casi si ha come conseguenza un’ipoplasia midollare con riduzione di una o più linee cellulari ematiche. Quando la depressione coinvolge la linea eritroide si ha anemia e la forma più classica FeLv associata è di tipo normocromico, normocitico, non rigenerativo. Esistono poi casi di concomitante riduzione nella produzione di cellule della linea bianca (leucociti) che può assumere caratteristiche selettive: frequentemente, in fase iniziale, si assiste infatti a neutropenia (ridotto numero di granulociti neutrofili circolanti) anche se lieve e transitoria.
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Il linfoma, insieme alla sopra descritta anemia da depressione midollare, è il segno clinico più comune in corso di leucemia felina. I gatti FeLV positivi sono sessanta volte più predisposti dei negativi alla formazione di tale neoplasia: pare che  il 25% dei gatti infetti possa sviluppare linfoma, soprattutto in età compresa tra 2-4 anni. Le forme più frequentemente riscontrate sono: linfoma mediastinico e linfoma multicentrico; linfomi renali, spinali o atipici (cutanei o oculari) risultano meno comuni ma comunque riscontrabili, mentre la forma statisticamente più rara in tali soggetti è quella localizzata a livello gastroenterico. In base a quanto detto è altamente consigliabile far sempre eseguire un test per FeLV in soggetti a cui viene diagnosticato un linfoma.
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Esistono poi altre patologie legate all’infezione da FeLV tra cui molte malattie immuno-mediate quali anemia emolitica, poliartriti e glomerulonefriti, quest’ultime rare. Nelle prime fasi di viremia in alcuni soggetti è riscontrabile una linfadenopatia periferica ad andamento benigno, all’opposto, qualora compaia in stadi avanzati di viremia persistente assume quasi inesorabilmente andamento grave ed è spesso difficile da differenziare dal linfoma. Una particolare forma di enterite cronica con degenerazione delle cellule epiteliali intestinali e necrosi delle cripte è stata associata alla leucemia felina così come malattie infiammatorie e degenerative del fegato. Esistono poi manifestazioni neurologiche, al di là del linfoma, che consistono principalmente nella comparsa di neuropatia periferica con anisocoria, midriasi, sindrome di Horner, incontinenza urinaria, vocalizzazioni anomale, iperestesia, paresi e paralisi. Raramente, infine, si hanno manifestazioni legate all’apparato riproduttivo quali riassorbimento fetale, morte neonatale e la “fading kitten syndrome”.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello.    
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venerdì 17 ottobre 2014

FIV: Segni Clinici, Diagnosi e Terapia

Riprendiamo oggi il discorso sul virus dell'immunodeficienza felina (FIV), parlando di segni cinici, diagnosi e opzioni terapeutiche.
 
Il FIV, analogamente all'HIV, ha una patogenesi caratterizzata da un lungo periodo di latenza clinica durante il quale le funzioni del sistema immunitario gradualmente si deteriorano. Terminata questa prima fase, si passa alla vera e propria Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS) che può portare all' instaurarsi di infezioni opportunistiche, malattie sistemiche, direttamente o indirettamente correlate alla presenza del virus, e neoplasie. Raramente FIV induce direttamente una malattia: caratteristica saliente di un gatto positivo ammalato è il fatto di essere affetto da patologie opportunistiche ad andamento cronico, ricorrenti e, spesso, refrattarie alle terapie con dosaggi classici.
Nel periodo post infezione si possono avere febbre, diarrea, congiuntivite e linfoadenopatie di grado variabile, molto spesso inosservate perché di breve durata. Esami ematologici in questa prima fase evidenziano linfopenia e neutropenia marcata. Terminato tale periodo, si passa ad una fase di latenza priva di sintomi che può durare molti anni (5-10) e la sua evoluzione verso lo stadio finale di malattia (sindrome da immunodeficienza) dipende da molti fattori: età (soggetti che contraggono FAIDS molto giovani hanno un'evoluzione più rapida), stato di salute del paziente nelle prime fasi d'infezione, stile di vita e dose e via di inoculazione, condizioni immunitarie soggettive. Le patologie più frequentemente diagnosticate nello stadio avanzato di FAIDS sono: sindrome stomatite/gengivite/faucite, anemia e leucopenia, insufficienza renale, IBD linfoplasmocellulare, emoplasmosi, infezioni opportunistiche (micosi, herpesvirosi, demodicosi, infezioni batteriche, sinusiti). Altre più rare sono: infiammazioni oculari (uveite e corio retinite) e neoplasie, in particolare il linfoma alimentare, a cui gatti FIV+ sono 10 volte più predisposti dei negativi.
Capisaldi nella diagnosi di FIV sono innanzitutto l'anamnesi, comprensiva della “provenienza” dell'animale, e gli eventuali segni clinici. Qualora si sospetti, in base alle suddette, un'infezione virale come causa o co-fattore della patologia osservata, allora si può procedere con esami clinico-patologici specifici. I test commerciali in ELISA offrono un'ottima affidabilità (sensibilità e specificità attorno al 95%): essi si basano sul rilevamento degli anticorpi prodotti contro il virus, tenendo conto che la sieroconversione si realizza 2-4 settimane dopo l'infezione. La maggior parte dei kit diagnostici da raramente falsi negativi, mentre possono verificarsi falsi positivi in un terzo dei soggetti testati: se nascono dubbi in tal senso, si può ricorrere alla PCR per confermare o smentire il risultato.
I gatti FIV positivi hanno mediamente una certa longevità: la presenza del retrovirus nell'organismo non preclude la possibilità di condurre una vita lunga e di buona qualità. A garanzia di ciò, però, è necessario gestire correttamente il gatto da un punto di vista sanitario ovvero sottoporlo a regolari vaccinazioni e intervenire repentinamente coi normali protocolli qualora insorgessero patologie di ogni genere. Il Fiv, infatti, non interferisce con la risposta immunitaria ai vaccini né inficia l'efficacia dei farmaci più comunemente usati: buona accortezza sarebbe quella di prolungare il tempo delle terapie rispetto ai soggetti sani. Ci sono comunque alcuni farmaci potenzialmente dannosi per i gatti FIV+ quali: la griseofulvina (antimicotico), provoca aplasie midollari, e l'itraconazolo.
Per quanto riguarda, infine, vere e proprie terapie antivirali ovvero mirate a ridurre il livello plasmatico di virus e a far aumentare i CD4+ (principali target del FIV) , al momento rispetto alla medicina umana si hanno a disposizione meno soluzioni. L'AZT (azidovudine) è attualmente il farmaco più studiato ma i pareri sulla reale efficacia sono ancora discordanti. Sotto osservazione è anche l'Interferone Ricombinante Felino (fIFNω), maggiormente accreditato e già largamente sperimentato nei trattamenti per infezioni da retrovirus e altri, FeLV compresa. Rispetto all'interferone di origine umana, anch'esso utilizzato per gli effetti immunomodulatori, l' fIFNω agisce come vero e proprio antivirale.
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sabato 11 ottobre 2014

FIV: Virus dell’Immunodeficienza Felina

 Iniziamo oggi ad affrontare il discorso sull'immunodeficienza felina  che rappresenta un capitolo vasto ed importante nell'ambito delle malattie infettive del gatto.
Il FIV (Feline Immunodeficiency Virus) è un retrovirus della sottofamiglia dei lentivirus, specifico dei felini, responsabile di una sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e diffuso in tutto il mondo. FIV condivide molte caratteristiche morfologiche e biochimiche col virus dell'immunodeficienza umana (HIV) sebbene siano antigenicamente differenti; non è mai stata provata trasmissione interspecifica (uomo-gatto e viceversa) quindi sono definibili altamente specie specifici. La patogenesi delle infezioni sostenute da questi virus è molto simile ed è caratterizzata da un lungo periodo senza sintomi clinici: per tale ragione la specie felina rappresenta un ottimo modello per gli studi sull'HIV.
Il virus dell'immunodeficienza felina ha come principale via di trasmissione quella orizzontale - diretta attraverso morsi e graffi soprattutto in occasione di combattimenti e lotte, ma anche di accoppiamenti. Studi epidemiologici hanno dimostrato che la prevalenza di FIV è influenzata dallo stile di vita dei gatti in una data popolazione: la vita libera (fuori e dentro casa o selvatici) favorisce la diffusione della malattia. I maschi interi sono soggetti a maggior rischio e ,in generale i maschi risultano da 2 a 4 volte più infettati delle femmine; solitamente i gatti adulti vengono colpiti più dei giovani. Esiste la possibilità, per quanto più rara, di trasmissione sessuale e anche quella madre-gattino; la trasmissione verticale, poi, avviene soprattutto se la femmina si infetta in una fase precoce della gravidanza. Bisogna infine annoverare la trasmissione iatrogena, sempre da gatto a gatto, ovvero attraverso aghi e strumenti contaminati o trasfusioni da animali infetti.
L'infezione da FIV è permanente: il virus, infatti, non può essere debellato e l'animale si trova a dover “convivere” con questo ospite per tutta la vita. Nel momento in cui esso penetra nell'organismo si instaura, comunque, una decisa risposta immunitaria anticorpale e cellulo-mediata tanto da rendere il virus latente anche per periodi molto lunghi. La caratteristica della patogenesi di FIV è il progressiva compromissione dei normali sistemi difensivi del soggetto infettato: le differenti modalità con cui la malattia può manifestarsi dipendono dal tipo di cellule del sistema immunitario in cui esso va a replicarsi in misura maggiore. Il FIV è in grado di moltiplicarsi nei linfociti T (CD4+CD8+), nei linfociti B, nei macrofagi, negli astrociti e nelle cellule della microglia in misura eguale o prevalendo in una linea rispetto ad un'altra. Nelle prime settimane dall'infezione sono i linfociti T (soprattutto CD4+) il principale serbatoio del virus, poi però questi tende ad attaccare anche la linea monocitica- macrofagica; dal 10° al 14° giorno post infezione (fase molto precoce) è possibile isolarlo solo dai linfociti. La viremia va incontro ad un rapido aumento fino al 21°giorno, raggiunge il picco alla settimana/ottava settimana per poi decrescere gradualmente: tornerà ad aumentare soltanto negli stadi terminali di malattia. Di contro nelle prime fasi, viremia alta, diminuiscono i CD4+, poi anche i CD8+ che, successivamente, tornano ad assestarsi su livelli normali; in fase finale, però, tutta la linea linfocitaria diminuisce definitivamente.
Oltre alla sopracitata linfopenia (diminuzione dei linfociti), il FIV agisce provocando alterazioni alle cellule difensive dell'organismo tra cui la perdita di capacità replicativa dei linfociti di fronte ad uno stimolo. Si annovera anche una ridotta produzione di citochine che contribuisce allo status di immunodeficienza. Gravi disfunzioni si hanno inoltre a livello di immunità cellulo-mediata (macrofagi) con intensità maggiore di quelle che colpiscono i linfociti (immunità umorale). La conseguenza più logica di questo progressivo annientamento del sistema difensivo, soprattutto cellulo-mediato, è l'instaurarsi di infezioni opportunistiche quali quelle provocate da microrganismi intracellulari, condizioni infiammatorie croniche e le neoplasie. Di contro, i gatti FIV+ rispondono molto bene alle normali vaccinazioni poiché per esse interviene l'immunità anticorpale: per questa ragione oltre che per lo stato immunodepressivo è assolutamente consigliabile eseguire regolari vaccinazioni anche ai gatti immunodeficienti.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello.    
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venerdì 3 ottobre 2014

La Gestione del Gatto Diabetico

GESTIONE DEL GATTO CON DIABETE CONCLAMATO
Quando la terapia dietetica da sola non è più sufficiente a controllare la glicemia è necessario iniziare la terapia insulinica i cui scopi sono:
  • ridurre o eliminare i segni clinici
  • far percepire al proprietario una migliore qualità di vita del proprio animale
  • diminuire le complicazioni secondarie al diabete
  • evitare crisi ipoglicemiche
Il trattamento deve essere iniziato al più presto dopo la diagnosi in quanto circa il 50% dei gatti può andare incontro a remissione durante i primi 3 mesi di terapia e sospendere la somministrazione di insulina.
Per la riuscita della terapia è di fondamentale importanza istruire adeguatamente il proprietario su tutti gli aspetti tecnici relativi alla conservazione, manipolazione e somministrazione di insulina e sarebbe bene lasciare un protocollo scritto con istruzioni precise.
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Le insuline di “prima scelta” nel gatto sono la Glargine e l’insulina umana PZI. L’insulina lenta di origine suina non è raccomandata come prima scelta nel gatto perché la sua durata d’azione è troppo breve e non controlla adeguatamente i segni clinici.
Nei gatti l’insulina deve essere sempre somministrata 2 volte al giorno e il dosaggio iniziale è:
1 UI/gatto per gatti di peso <4 kg
1.5-2 UI/gatto per gatti di peso > 4 kg
1 UI/gatto indipendentemente dal peso corporeo se la glicemia iniziale è <360 mg/dl
Durante la prima settimana di terapia il dosaggio non deve essere aumentato ma solo eventualmente diminuito in caso si noti glicemia <150 mg/dl.
Nel gatto la misurazione “ideale” della glicemia andrebbe effettuata a domicilio in quanto un valore alto in ambulatorio potrebbe essere dovuto allo stress. Molti proprietari, se incoraggiati sono in grado di misurare la glicemia al proprio animale ed è possibile istruirli tramite materiale informativo e video.
Il proprietario durante la terapia insulinica dovrebbe monitorare accuratamente il consumo di acqua, cibo e l’appetito e contattare il veterinario in caso di segni di ipoglicemia. Inoltre dovrà valutare l’eventuale scomparsa della glicosuria tramite strisce reattive o la comparsa di ketonuria.
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Da tutto ciò si può dedurre l’estrema importanza in corso di terapia insulinica della collaborazione del proprietario.
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello     
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