mercoledì 17 novembre 2010

Il Vomito

Il vomito rappresenta un sintomo, non una malattia, ed è un riflesso che presuppone un'eliminazione attiva di materiale dallo stomaco e/o intestino in seguito ad un'azione coordinata coinvolgente l'apparato gastroenterico, il sistema muscolo-scheletrico ed il sistema nervoso.
Si definisce vomito cronico il vomito persistente, intermittente o continuo di durata superiore ai dieci giorni. La “cronicità” non è sempre sinonimo di causa sottostante “occulta e duratura”: talvolta può semplicemente derivare dalla “mancata risposta” ad una terapia approntata per risolvere un problema acuto. Le cause che possono portare a vomito cronico possono essere schematicamente suddivise in tre categorie:
-ostruzione a livello del tratto gastroenterico: da corpo estraneo, stenosi pilorica, ipertrofia della mucosa dell'antro gastrico, malposizionamento gastrico cronico (GDV), “cicatrice”a livello intestinale, patologie infiltrative non neoplastiche, intussuscezione, polipi adenomatosi (nel gatto), neoplasie
-infiammazione gastrointestinale o peritoneale: malattia infiammatoria intestinale, colonizzazione batterica del piccolo intestino, infezione da Helicobacter spp, ipersensibilità alimentare, intolleranza alimentare, gastrite cronica (con/senza ulcerazione), sindrome del vomito biliare, parassiti (es. Giardia spp, dirofilariosi felina), virus (es. FIV, Felv,FIP), colite cronica, peritonite cronica, pancreatite cronica, colecistite
-cause extraintestinali: disturbi endocrini (ipoadrenocorticismo, ipertiroidismo, diabete mellito), disturbi metabolici (insufficienza renale, patologia epatobiliare, ipercalcemia), tossine (piombo, Zinco, tossine vegetali, uva), neurologiche (epilessia limbica, neoplasia, meningite/encefalite), aumento della pressione intracranica, , idrocefalo, patologia vestibolare, ernia iatale, ritardo di  svuotamento gatrico di origine idiopatica, iperalmentazione.image L'approccio diagnostico nei confronti di un paziente con vomito cronico richiede innanzitutto un'accurata raccolta dei dati anamnestici (abituduni alimentari, frequenza, distanza dal pasto, uso concomitante di farmaci, altri segni clinici rilevati,malattie pregresse, stato delle vaccinazioni, ecc) e un approfondito esame obbiettivo generale (dalla “testa alla coda”). La possibilità di seguire un determinato iter “per gradi” dipende ovviamente anche dalla gravità della malattia: se il paziente non presenta altri segni clinici concomitanti sarà possibile procedere step by step altrimenti, in animali con contemporanea perdita di peso, anoressia e/o disidratazione e in stato cachettico, è giustificato un approccio più aggressivo e mirato a stabilizzare il paziente.
Una volta ottenute le informazioni con i metodi suddetti, si può decidere il percorso diagnostico da seguire comprensivo di test diagnostici quali quelli ematologici e biochimici: inizialmente di base (proteine totali, transaminasi epatiche, glicemia, urea/creatininemia, elettroliti) poi, a seconda dei riscontri ottenuti, più specifici: TLI, PLI, folati e cobalamina, test di stimolazione con ACTH, T4 e TSH, acidi biliari sierici/urinari, test della coagulazione, proteine della fase acuta, test di funzionalità epatica. A ciò si aggiungano l' analisi delle urine e delle feci e, frequentemente, studi di imaging. La scelta è, ovviamente, dettata dal caso specifico: radiografie addominali in bianco possono essere d'ausilio per la ricerca di corpi estranei, svuotamento gastrico ritardato, ostruzione intestinale con costipazione (soprattutto nel gatto), masse, peritonite, spostamento viscerale e fluido o gas addominale libero. La radiografia addominale con mezzo di contrasto, invece, può rilevare ostruzioni lievi, ulcere gastriche, ispessimento della parete: nel corso del tempo, in verità, per questo tipo di rilievi si è scelto di utilizzare sempre più frequentemente differenti mezzi diagnostici, quali l'ecografia addominale e l'endoscopia. Quest'ultima, in particolare, consente di eseguire biopsie e successive analisi istopatologiche della parete gastrointestinale, molto utili e talvolta risolutive nella diagnosi di patologie infiammatorie gastroenteriche.
Come già detto nel capitolo sul vomito acuto, anche per quello cronico non esiste “una terapia”: si può certamente ricorrere a farmaci che riducano fino ad arrestare il sintomo, ma il percorso terapeutico da seguire sarà evidentemente sempre dettato dalla diagnosi della patologia che ha portato ad una condizione di vomito cronico.
 
Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello     
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giovedì 7 gennaio 2010

Fibrillazione Atriale

La determinazione del ritmo cardiaco è la parte più importante della valutazione di un tracciato elettrocardiografico.

La fibrillazione atriale è una aritmia che origina da focolai atriali ectopici multipli. Immagine1

E’un’espressione atriale rapida, disorganizzata, caotica che sostituisce la fisiologica attività sinusale e che comporta una conduzione atrio-ventricolare completamente imprevedibile e di conseguenza un ritmo ventricolare generalmente irregolare. La frequenza atriale si presenta elevata di 350- 600 bpm ed il nodo atrioventricolare funziona da filtro lasciando passare solo una parte di questi impulsi, ma in maniera non regolare (ritmo irregolarmente irregolare). La Fibrillazione atriale può essere conseguente a malattie cardiache come endocardiosi grave, cardiomiopatia dilatativa, neoplasia atriale e malattie cardiache congenite, oppure può rappresentare la complicazione di alcune malattie non cardiache, tra cui la dilatazione-torsione gastrica, o essere la conseguenza di malattie che determinino delle alterazioni significative del tono vagale. Nei cani di grossa taglia e gigante, la fibrillazione atriale può anche essere presente in assenza di un danno strutturale del miocardio ( fibrillazione atriale isolata ).

Nella maggior parte dei casi è infatti una dilatazione atriale sinistra che riesce a dar luogo al disturbo attraverso due meccanismi:

a) acquisizione di una “massa critica atriale” (indispensabile per il mantenimento della fibrillazione) che scatena focolai ectopici multipli;

b) allungamento del tempo di conduzione intra- ed interatriale che favorisce fenomeni di rientri caotici (questo allungamento dapprima si traduce elettrocardiograficamente nella comparsa di onde P di tipo “mitralico” e con blocchi A-V di 1° grado; soltanto in un secondo tempo compare la FA).

I rilievi clinici più rilevanti sono la percezione attraverso la palpazione di un itto cardiaco di elevata frequenza e molto irregolare per ritmo ed intensità e all’ auscultazione di una marcata variabilità dell’intensità dei toni cardiaci; in genere il secondo tono può essere assente e si può apprezzare il terzo tono. Se poi pensiamo che stiamo auscultando una frequenza intorno a 200 o più, non si è più in grado di diversificare le varie strutture sonore e si apprezza solo l’ irregolarità.

Altro reperto importante, acquisibile attraverso la combinata auscultazione cardiaca e palpazione del polso femorale, è quella relativa ad una frequenza dell’attività ventricolare maggiore di quella del polso periferico (“pulsus deficiens”). Tale reperto è in relazione al fatto che alcune contrazioni sistoliche cardiache non riescono ad aprire le semilunari aortiche o comunque danno luogo ad una modesta gittata sistolica.

Dal punto di vista elettrocardiografico la FA si caratterizza per:Immagine2

· Non vi sono onde P visibili

· Non vi sono onde di flutter

· L’attività atriale è assente o è caotica sia in ampiezza sia in frequenza (onde f)

· I complessi QRS sono normali per la derivazione in esame

· L’intervallo R-R è variabileImmagine3

· Alternanza elettrica

– Fibrillazione atriale.

L’approfondimento ecocardiografico, oltre che offrire una visualizzazione diretta dell’aritmia, ne permette una valutazione qualitoquantitativa delle cause e delle conseguenze. In presenza di una estrema dilatazione atriale ad esempio si osserva assenza di movimenti delle pareti; una scansione transmitralica in M-mode rileva una M mitralica che ha perso la sua seconda branca, rendendo evidente la mancanza di sistole atriale.

Il rapporto tra atrio sinistro e dimensione dell’ostio aortico (AS/Ao), solitamente intorno a 1,3, è nettamente superiore a 1,6.

Ruolo principale dell’ecocardiografia in corso di FA non è comunque quello di permettere la diagnosi del disturbo, ma di metterne in evidenza soprattutto l’eziologia; ecco dunque che diventa possibile osservare un rimaneggiamento valvolare in corso di endocardiosi mitralica, un assottigliamento parietale, una dilatazione cavitaria ed una diminuita contrattilità senza interessamento valvolare in corso di cardiomiopatia dilatativa. Ancora con l’ecocardiografia è possibile prendere atto di come avviene la gittata cardiaca sinistra (funzionalità sistolica sinistra), anche in rapporto all’evoluzione ed eventualmente al trattamento.

La fibrillazione atriale se non viene adeguatamente controllata, può causare un danno miocardico ed una miocardiopatia dilatativa secondaria.

La terapia è indirizzata proprio a rallentare la frequenza cardiaca nelle fibrillazioni ad alta penetranza ventricolare. I farmaci usati sono: digitale, β-bloccante, calcioantagonista e amiodarone.

• DIGOSSINA

L’efficacia della digossina in fase acuta risulta relativa a causa della sua breve azione. L’azione primaria del principio attivo è rappresentata da un aumento del tono vagale. Tuttavia in un soggetto stressato con aumento del tono simpatico risulta preferibile l’utilizzo di altre molecole.

Nell’uomo, per la diagnosi delle tachiaritmie sopraventricolari viene utilizzata l’adenosina che esercita effetto a livello del nodo atrioventricolare attenuando le correnti di ioni calcio in entrata. A livello diagnostico, l’assenza di un circuito di rientro viene confermata in base al fatto che dopo somministrazione di adenosina la tachicardia sopraventricolare continua ma la frequenza ventricolare rallenta. Nonostante l’adenosina sia un principio attivo largamente studiato nel cane, la sua reale efficacia non è ancora stata provata.

Terapia antiaritmica in fase cronica (somministrazione orale)

La digossina riduce la velocità di conduzione a livello del nodo atrioventricolare e incrementa la forza di contrazione miocardica.

Agisce inibendo l’attività della pompa sodio potassio della membrana cellulare ( effetto inotropo positivo )

Ha un metabolismo epatico ed escrezione renale.





DOSAGGIO

Cane 0,005-0,01 mg/kg BID, PO (dose calcolata sul peso “magro”)

Gatto gatti di peso 2-3 kg: 1/4 cpr 0,125 mg q48h, OS

gatti di peso 4-5 kg : 1/4 cpr 0,125 mg SID, OS

Il controllo della digossinemia va effettuato dopo 7 giorni dall’inizio della terapia e valutato periodicamente. Occorre monitorare il peso, l’appetito, eventuali alterazioni ECG, elettroliti sierici e funzionalità epato-renale. La digossina è controindicata in caso di patologie epatiche e renali, di dimagramento, di cachessia e in caso di cardiomiopatia ipertrofica. Se la risposta ventricolare non è stata controllata con la digossina, è opportuno somministrare anche atenololo ( 0,5 – 1 mg/ Kg sid o bid ) od il propanololo ad un dosaggio contenuto ( 0,3 – 1,5 mg/kg tid ). La dose dei β-bloccanti viene progressivamente aumentata fino a che la frequenza ventricolare non sia controllata in modo adeguato; nel cane la frequenza ideale dovrebbe essere inferiore a 140-160 bpm. Utilizzando la dose efficace più bassa sarà possibile ridurre l’effetto inotropo negativo dei farmaci β-bloccanti. Nelle fasi iniziali, se la fibrillazione atriale è molto rapida, alla digossina può essere affiancato il diltiazem ( 1-3 mg/kg tid ). Questo farmaco, diversamente dai β-bloccanti, non riduce la contrattilità ventricolare in maniera marcata. Il diltiazem è molto utile anche nel trattamento della fibrillazione atriale dei gatti e spesso, in questa specie, può essere utilizzato quale unico agente. La lidocaina dovrebbe essere evitata poiché aumenta la velocità di conduzione A-V e determina un aumento della risposta ventricolare.

Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello 
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